Triplice omicidio di Motta Visconti: “Carlo Lissi non è né pazzo né folle”
Roma – E’ ancora forte lo sconcerto nella pubblica opinione a quattro giorni dal triplice omicidio avvenuto alle porte di Milano, a Motta Visconti, del quale è accusato Carlo Lissi, un perito informatico di 31 anni che la sera di sabato scorso avrebbe ucciso la moglie di 38 anni e i due figlioletti di 5 anni e 20 mesi. Dopo il delitto l’uomo si sarebbe lavato, vestito e sarebbe uscito per raggiungere gli amici in un pub, dove avrebbe tranquillamente trascorso la serata assistendo alla partita Italia-Inghilterra. La psicoterapeuta della gestalt Margherita Spagnuolo Lobb ha analizzato il comportamento di Carlo Lissi, attualmente detenuto in carcere dopo aver confessato il triplice omicidio.
“Non è un pazzo né un folle. Somiglia più a un bambino viziato, il cui comportamento sviato è frutto della nostra società che forma individui sempre più anaffettivi e incapaci di provare emozioni. Esempio non di pazzia in senso stretto ma di un nuovo concetto di follia nato con il caso di Erika e Omar e al quale potrebbe appartenere anche il presunto assassino di Yara Gambirasio”, spiega l’esperta. "Fino a poco tempo fa il concetto di pazzia aveva canoni precisi: era pazzo colui che sentiva strane voci, aveva deliri o allucinazioni. Oggi non è più così e ci chiediamo se il folle non sia piuttosto chi compie un gesto come quello di Lissi, che stermina la famiglia e poi va a guardare la partita come se nulla fosse", spiega la dottoressa Spagnuolo Lobb. "Carlo Lissi, dunque, è l’esempio di un nuovo concetto di follia che si sta facendo strada nella nostra società: il distacco dalle emozioni e l’incapacità di provare sentimenti portano l’individuo a legittimare anche l’omicidio. “Ricordate il caso di Erika e Omar, i due fidanzatini di Novi Ligure che nel 2001 uccisero a sangue freddo mamma e fratello di lei e poi si comportarono come se nulla fosse accaduto? È con quel caso di cronaca che nascono i nuovi folli della società moderna: non solo i due ragazzi riescono a uccidere non provando emozioni, ma durante gli anni di carcere ricevono lettere e incoraggiamenti da parte di adolescenti che dicono di ammirare il loro gesto. Da allora è un susseguirsi di omicidi simili", conclude la psicologa.
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