Auckland (Nuova Zelanda) – Jonah Lomu, leggenda degli All Blacks, la squadra di rugby che nella finale recentemente disputata in Inghilterra contro i ‘Kiwi’, se ne è andato. Il gigante buono della palla ovale, un campione amato in tutto il mondo, ha perso la sua ultima battaglia, quella contro una gravissima patologia ai reni dalla quale era affetto sin da ragazzo e che lo aveva costretto prima al ritiro, nel 2002, e poi a sottoporsi ad un trapianto di rene.


LA MORTE - Jonah Lomu, 1.96 di altezza per 120 chili, un fisico imponente, simbolo mondiale del rugby, aveva da poco compiuto da 40 anni ed era considerato il più grande rugbista di sempre. Il simbolo degli All Blacks è morto nella sua casa di Auckland, in Nuova Zelanda: lascia la moglie e due bambini di 5 e 6 anni. Dopo il trapianto sembrò che le sue condizioni di salute fossero migliorate, ma purtroppo subentrò una ricaduta e nel 2007 il campione si ritirò dal professionismo benché continuasse a giocare in qualche squadra dilettantistica.


IL MITO – La prematura scomparsa della leggenda degli All Black, nato a Tonga, ha sconvolto tutto il mondo del rugby. Jonah Lomu, oltre ad essere un grandissimo atleta, era anche un uomo dal carattere allegro e deciso, un campione leale che ha conquistato la simpatia e l’ammirazione di tifosi in tutto il mondo per il suo stile in campo, la bravura, la correttezza nei confronti degli avversari. Un personaggio che, soprattutto dopo il ritiro, era ricercato molto dalla pubblicità come testimonial.


LA CARRIERASegnò la prima volta con gli All Blacks a 19 anni, ed era il più giovane esordiente della nazionale neozelandese, in un match contro la Francia nel 1994. Nonostante la mole riusciva a correre i 100 metri in 10’8, lanciandosi sempre in avanti contro la difesa avversaria, grazie a coraggio, intelligenza e potenza. Ha messo a segno 37 mete in 63 partite in otto stagioni, dal 1994 al 2002, quando la malattia lo costrinse allo stop.


UN UOMO GENEROSO – L’ultima sua volta in pubblico alla Coppa del mondo di rugby a Londra, contro i ‘Kiwi’, l’Australia. Una grande vittoria per gli All Blacks. Lui era il testimonial della competizione: al Covent Garden la sua ultima haka, la danza di guerra dei Maori che caratterizza il pre-partita i neozelandesi, nonostante le sue condizioni di salute fossero appese ad un filo, in attesa di un nuovo trapianto di rene. Era una persona vitale e, benché dializzato, era fiducioso e generoso. Si preoccupava non solo per i suoi due bambini ma anche per i figli degli altri. E’ stato fra i primi sportivi al mondo a manifestare il suo dolore per le vittime degli attentati di Parigi via twitter.

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