Corrida ed “encierro”, quando a morire non sono soltanto i tori
A rendere ancora più pesante il bilancio della domenica di sangue è stato il ferimento di quattro persone nel corso dell'encierro di Pamplona: per due di loro la prognosi è ancora riservata. Mariano Rajoy, premier in pectore della Spagna – nel Paese sono in corso le consultazioni per la formazione di un nuovo Governo – ha espresso solidarietà e cordoglio ai familiari del torero, tuttavia è bene ricordare che il leader del Partito Popolare spagnolo è da sempre uno dei grandi sostenitori della tauromachia, fino al punto di arrivare a proporre l'istituzione di un corso di studi per toreri. Ma le morti di ieri non sono dovute né a un incidente né a un “destino cieco e baro”.
Quando si scende nell'arena, che sia una Plaza de Toros o il centro storico di una pittoresca cittadina, la morte, quella morte per i tori è sempre una tragica certezza, diventa anche per le persone qualcosa in più di una semplice, remota eventualità. Questo ci dice la domenica di sangue vissuta ieri dalla Spagna. La tragedia tuttavia ci ricorda anche altre cose. Che non c'è nulla di epico nella tauromachia; che non è glorioso condannare a morte un animale e infierire contro di esso; che non c'è nulla di “tradizionale” in rituali desueti, la cui unica ragion d'essere è quella di alimentare un meccanismo economico; che la vita in sé, sia essa di un uomo o di un animale, ha un valore troppo grande per essere sperperata nelle arene. Arene dove ogni anno vengono trucidati migliaia di tori, venuti al mondo e cresciuti con l'unico scopo di essere trafitti dalle banderillas. Per loro non c'è neanche la pietà dell'eutanasia, perché i tori della corrida sono condannati a vivere la loro morte, fino all'ultimo istante di sofferenza. Paradossalmente, con lo stordimento preventivo, persino in un macello c'è più compassione. Lo dichiara in una nota Enpa - Ente nazionale protezione animali.
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