La Lazio cambia l'allenatore e con Edy Reja ritrova la vittoria. Il punto esclamativo sui tre punti biancocelesti presi a Parma è stato messo da Mauro Zarate, al quale ha portata fortuna l'uscita del libro “Così parlò Zarate” scritto dalla giornalista della Gazzetta dello Sport, Gabriella Greison. Il ritorno al gol di Maurito (non segnava dal 27 settembre) ha fatto impennare le vendite delle ultime copie del libro, ormai prossimo alla ristampa a sole due settimane dall'uscita. In vista del prossimo turno di campionato tra Palermo-Lazio, vi proponiamo uno stralcio del libro riguardante un'intervista fatta all'attuale mister dei rosanero Delio Rossi, che svela diversi segreti del suo ex numero 10.

Delio Rossi, le manca Zarate?

“Beh, sì…”.

Nell’estate del 2005 Delio Rossi diventa allenatore della Lazio: alla sua prima stagione in biancoceleste ottiene un ottimo sesto posto, e la conseguente qualificazione alla Coppa Uefa, ma lo scoppio di calciopoli e la penalità di 30 punti da scontare nella stagione successiva ne fanno perdere i requisiti. Al secondo anno, c’è ancora la tegola degli 11 punti in meno, che in appello verranno ridotti a 3, malgrado questo il terzo posto alla fine della stagione è conquistato, con conseguente accesso ai preliminari di Champions League. Al termine del campionato 2007/2008 la Lazio si classifica al 12° posto; e l’avventura in Europa si ferma alla prima fase a gironi. Durante il mercato estivo la squadra viene rafforzata dal presidente Lotito, con giocatori come Matuzalem, Brocchi, Lichtsteiner, ma soprattutto Mauro Zarate. Nonostante un campionato abbastanza altalenante, Rossi porta il team alla vittoria della Coppa Italia 2008/2009 nella finale unica di Roma, dopo aver eliminato squadre come Milan e Juventus: è il primo trofeo per l’allenatore che, visibilmente commosso, riceve gli allori dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il 3 giugno 2009 Rossi annuncia che dalla stagione successiva non sarà più l’allenatore della Lazio: l'ufficialità di tale addio la darà tramite una conferenza stampa a Formello l'8 giugno 2009, e il conseguente ingaggio di Davide Ballardini.

C’è questa atmosfera malinconica, dolce, magnifica, cheaccompagna le parole dell’ex-allenatore della Lazio, Delio Rossi, mentre risponde alle domande. Oggi è il 30 ottobre 2009, l’ora dell’aperitivo a Roma: la gente si riversa in strada, fa di nuovo caldo, dopo giorni di vento, freddo e gelo improvviso. Indossano tutti un cappello, un impermeabile, o portano con sé un ombrello: le previsioni dicevano pioggia.

In che senso, le manca?

“Con lui ho iniziato un lavoro, i cui frutti andavo raccolti nel tempo….in questo senso. Quando un allenatore prende in mano una squadra, studia il caso, studia ogni personaggio, e

inizia un percorso, singolo e di gruppo.….”.

Si ricorda la prima volta che l’ha notato?

“Certamente. Erano i primi giorni di ritiro estivo ad Auronzo di Cadore. Mauro era insieme a tutti gli altri, in gruppo. Mi sono accorto subito di avere di fronte un gran giocatore, dal talento formidabile. Si distingueva da tutti per la sua velocità, per il suo guizzo, per la sua

anarchia”.

L’ha colpita per questa caratteristica? Per la sua

anarchia?

“Sì, era il più anarchico, faceva quello che aveva in testa, e basta. Senza pensare agli altri. Era indipendente, solitario, autodidatta”.

E cosa ha pensato?

“C’è da lavorare tanto con lui, ma ne vale pena”.

Qual è stata la sua strategia?

“Bastone e carota. Perché la sua individualità andava gestita, ma allo stesso tempo tenuta viva, valorizzata. E così lo facevo giocare sempre, ma allo stesso tempo volevo

che si sacrificasse di più, anche nel gioco senza palla. Volevo dei movimenti ben precisi, da lui”.

E lui seguiva i suoi consigli?

“E’ difficile educare un ragazzo come lui, ci vuole tempo, tanto tempo. Innanzitutto devi conquistare la sua fiducia, fargli capire che le cose le dici per lui, per il suo bene,per la sua crescita. Una cosa è certa: Mauro non sarà mai un soldatino, uno che segue un canovaccio prestabilito”.

E cosa diventerà?

“Un campione, senza dubbi. Ma deve fare un passaggio successivo. Lui sa fare bene A, ma gli manca B: quello che deve capire è che se si sforza di fare A+B è più forte. Ora, invece, se un difensore gioca d’anticipo, lo ferma, lo mette in difficoltà”.

Vuole dire che gioca solo d’istinto?

“Lui, palla al piede, è imprendibile. Nell’uno contro uno, non lo ferma nessuno. All’inizio era una minaccia per qualsiasi squadra. Nessun lo fermava. Ma, ora, tutti hanno capito che tipo di giocatore è, e quindi viene  raddoppiato, o addirittura a volte se ne ritrova tre addosso. E così lo fermano, è chiaro. Così non lo fanno giocare”.

Sta seguendo le partite della Lazio, quindi.

“Certo”.

Qualche suo insegnamento lo ha assorbito? O è ancora al punto di partenza?

“Io gli ripetevo che non basta saper fare quello che fa lui: prendere la palla e andare verso la porta. Anche se come lo sa fare lui è veramente il più bravo di tutti. Io gli stavo insegnando a buttarsi nello spazio. Ma è uno sforzo enorme, per lui, questo movimento. Ogni tanto lo faceva, ogni tanto no. Anche adesso, quando è stanco, o in difficoltà, torna a fare sempre i suoi movimenti….li fa da dio, ma non bastano solo quelli”.

Come definisce Zarate?

“Un diamante grezzo. Deve essere lavorato, levigato, ripulito. Ma lo deve volere pure lui, altrimenti è energia sprecata. Quando lo capirà, diventarà formidabile. Solo la continuità in un lavoro, può dare i suoi frutti. E poi…..cosa c’è di più bello di un diamante, scusi?”.

Ha mai avuto altri gioielli preziosi, come lui, da allenare?

“Vucinic, un altro calciatore dal talento incredibile. L’unico che mi viene in mente è lui. Anche se il

paragone è difficile da tenere: uno ha le gambe che sono una bomba, l’altro sa attaccare, andare in profondità, entrambi hanno una tecnica sopraffina. Ma, mi rilasci dire, non fa bene a nessuno fare paragoni. Zarate è unico, nel suo genere. Sul posto, è il migliore. Ma nel complesso, per tutte le cose che sa fare, e potrebbe fare, è ininquadrabile. Atipico.

E’ un argentino…”.

Quindi?

“Quindi: brevilineo, un caso isolato, un talento puro. Come Aguero, Lavezzi, Messi, Tevez. Lui, però, è ancora più anarchico”.

Ancora questo aggettivo…..

“Allora, cambio…..metta: ribelle”.

Ma è la stessa cosa.

“Lui è un giocatore che deve sentirsi libero, questo voglio dire. Lasci anarchico. Aggiungo che però ha ampi margini di miglioramento: così, questo lo inquadra un pò”.

Ci parli di Zarate, dal punto di vista umano.

“E’ orgoglioso, molto. E’ testardo. E’ un grande professionista, serio. Crede in quello che fa: la sua vita è il rettangolo di gioco. Il calcio è tutto per lui. Ed è furbo….”.

Furbo?

“Eh, sì, un gran furbacchione. C’erano delle volte che faceva finta di non capire, quando faceva comodo a lui. Altre volte, capiva tutto al volo. E’ sveglio, e usa il fatto di essere argentino a suo piacimento. Lui capisce tutto benissimo, a volte faceva finta solo quando non voleva

fare certe cose”.

Ad esempio, entri nei dettagli.

“Non mi ricordo situazioni specifiche, però, questo era il suo modo di fare. Per il resto, era esemplare. Per tante cose. Si allenava sempre, anche quando gli altri erano a riposo. Era il primo ad arrivare al campo, e l’ultimo ad andare via. A lui piace giocare. Vuole avere sempre il pallone tra i piedi….è un bambino”.

Lei ripeteva sempre: ci vuole un pallone per Zarate e uno

per la squadra.

“Certo, per questo motivo. Anche in allenamento, soffriva la preparazione, la corsa. Ma appena si facevano partitelle, si illuminava. E’ cresciuto con il pallone tra i piedi, e quello vuole avere sempre….ma deve capire che ci sono dei compromessi”.

Con chi lo vedeva girare?

“Mai con nessuno. Veniva da solo, sempre da solo. Quando al campo c’ero io non si avvicinava mai nessuno. Con me, la regola, per tutti, è questa”.

Cosa la faceva innervosire di lui?

“Quando gigioneggiava in campo. Quando con superficialità aspettava la palla. Quando non capiva che la squadra si indeboliva se lui stava fermo. Ma erano più le cose di lui che mi facevano emozionare….”.

Ne dica tre. “E’ un giocatore che ha sempre fatto la differenza, in ogni partita che serviva. E’ un calciatore che si fa trovare pronto, in ogni momento: si allena da solo, a testa bassa. Sotto pressione dà il massimo. Nelle sfide importanti, lui segna sempre. Che sia il Milan, che sia la Juve, che sia una finale di Coppa, Mauro fa gol, senza problemi. Avete visto che partite ha giocato, no? Diventerà il migliore di tutti. L’importante è che non stia fermo, che non aspetti di prendere la palla e partire, da solo. E’ necessario che capisca anche lui di dover stare dentro ad un gruppo, di dover arretrare se serve, di doversi muovere”.

Secondo lei, rimarrà  alla Lazio per sempre, come ha detto?

“Non credo a quello che dicono i calciatori. Credo a quello che vedo, a quello che fanno in campo. Nel presente di Zarate c’è la Lazio. E per la Lazio, è un bene che lui ci sia. Il resto è aria….”.