Roma – In occasione della Giornata della Memoria che si celebra oggi, 27 gennaio, e dei 70 anni dalla liberazione dai campi nazisti grazie all’arrivo ad Auschwitz dei russi, il Campidoglio organizza una serie di appuntamenti fino al 15 febbraio. Un calendario ampio, che affianca le celebrazioni ufficiali a un percorso fatto di cinema, teatro, musica, mostre, convegni, incontri e testimonianze dei sopravvissuti. A promuovere e ospitare molte iniziative sono la Casa della Memoria e della Storia, la Casa del Cinema, le Biblioteche, il Teatro di Tor Bella Monaca, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia all’Auditorium, il Teatro di Roma e il Teatro dell’Opera.


“La cultura”, ha dichiarato l’assessore alla cultura, creatività, promozione artistica e turismo Giovanna Marinelli”, è lo strumento più immediato ed efficace per mantenere viva la memoria, per parlare alle giovani generazioni più distanti da questo dramma che l’Europa ha vissuto, per continuare a costruire una consapevolezza che tutto ciò non deve più avvenire. È il linguaggio dell’emozione che attraverso immagini, testi, voci, musica, tocca e non abbandona. Abbiamo per questo voluto e dedicato varie giornate e sono tanti gli appuntamenti importanti”. Tra gli eventi in programma alla Casa della memoria e della Storia il concerto dell’Opera al teatro Palladium con Brundibár (opera realizzata presso il ghetto di Terezìn), il progetto vincitore del bando Roma Creativa dal titolo #MEMORIAPRESENTE2015 – un hashtag per non dimenticare, la mostra al Complesso del Vittoriano La liberazione dei campi nazisti. Altro concerto quello di Santa Cecilia all'Auditorium, con la partecipazione straordinaria di Ute Lemper.


“A 70 anni dalla liberazione di Auschwitz e degli altri campi dello Sterminio, Roma Capitale riconosce e celebra con tante importanti iniziative la Memoria della Shoah”, ha affermato l’assessore a scuola, sport, politiche giovanili e partecipazione, con delega alla Memoria, Paolo Masini. “Roma - ha proseguito Masini - è stata una città ferita, con le deportazioni di migliaia di suoi cittadine e cittadini, e una città orgogliosa, che ha avuto un ruolo di primo piano nella lotta per la Liberazione contro il nazifascismo. Oggi è una città memore, che negli anni ha portato più di 6.000 alunni delle scuole in visita ad Auschwitz-Birkenau e nel quartiere ebraico di Cracovia, e che ha messo in campo tantissime iniziative rivolte soprattutto alle nuove generazioni anche grazie alle preziose testimonianze dei Sopravvissuti”. Questa mattina a via del Tempio di Giove è stata scoperta una targa ai fratelli Aldo e Bixio Pergola, dipendenti comunali licenziati in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, e successivamente deportati e morti insieme alle loro famiglie ad Auschwitz . Furono circa 50 i dipendenti capitolini colpiti dalle leggi razziali fasciste. Esiste una pubblicazione - "Memorie in Comune", a cura di Pupa Garribba, Mitinitaly, 2011 - in cui sono riportate molte delle loro storie.


Ma cos’è l’Ocausto? E qual è la differenza tra Olocausto e Shoah? Con il termine Olocausto (con l'adozione della maiuscola), a partire dalla seconda metà del XX secolo, si indica il genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli ebrei d'Europa e, per estensione, lo sterminio nazista verso tutte le categorie ritenute "indesiderabili", che causò circa 15 milioni di morti in pochi anni. L’Olocausto, in quanto genocidio degli ebrei, è identificato più correttamente con il termine Shoah (in lingua ebraica: השואה, HaShoah, "catastrofe", "distruzione". Consistette nello sterminio di 6 milioni di ebrei, di ogni sesso ed età. La distruzione di circa i due terzi degli ebrei d'Europa fu organizzata e portata a termine dalla Germania nazista attraverso un complesso apparato amministrativo, economico e militare che coinvolse gran parte delle strutture di potere burocratiche del regime, con uno sviluppo progressivo che ebbe inizio nel 1933 con la segregazione degli ebrei tedeschi, proseguì, estendendosi a tutta l'Europa occupata dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale, con il concentramento e la deportazione e quindi culminò dal 1941 con lo sterminio fisico per mezzo di eccidi di massa sul territorio da parte di reparti speciali, e soprattutto in strutture di annientamento appositamente predisposte (campi di sterminio), in cui attuare quella che i nazisti denominarono soluzione finale della questione ebraica. L'annientamento degli ebrei nei centri di sterminio non trova nella storia altri esempi cui possa essere paragonato, per le sue dimensioni e per le caratteristiche organizzative e tecniche dispiegate dalla macchina di distruzione nazista.


Tuttavia, l'idea della "unicità della Shoah" in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altro evento è assai discussa tra gli storici. La parola "Olocausto", che deriva dal greco ὁλόκαυστος (olokaustos, "bruciato interamente"), a sua volta composta da ὅλος (olos, "tutto intero") e καίω (kaio, "brucio"), era inizialmente utilizzata ad indicare la più corretta forma di sacrificio prevista dal giudaismo. L'uso del termine Olocausto fu in seguito esteso a tutte le persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti "indesiderabili" dalla dottrina nazista e di cui il Terzo Reich aveva previsto e perseguito il totale annientamento, poiché avvenuto nel medesimo evento storico: essi potevano comprendere, secondo i progetti del Generalplan Ost, popolazioni delle regioni orientali europee occupate, ritenute "inferiori", e includere quindi prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, nazioni e gruppi etnici quali Rom, Sinti, Jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali, malati di mente e portatori di handicap. Il termine Olocausto originariamente indicava un tipo di sacrificio della religione greca, ebraica e dei culti dei Cananei nel quale ciò che si sacrifica viene completamente arso. Per estensione, si riferisce anche all'oggetto del sacrificio. Nella Tanakh, יolah è un termine ricorrente, specialmente in occasione di sacrifici rituali, di animali uccisi e bruciati sull'altare del tempio, tesi a sancire un rinnovo dell'alleanza tra il Dio di Israele e il proprio popolo. Nei culti cananei, tenutisi nello specifico nella valle dell'Hinnom, l'olocausto indicava invece il sacrificio umano al dio Moloch.


Nel greco antico (e successivamente nel latino come holocaustum) questo termine indicava un tipo di sacrificio religioso in cui il corpo della vittima animale, dopo l'uccisione, veniva bruciato completamente, così che nessuna parte commestibile poteva essere consumata. Questo rito religioso era praticato nelle epoche antica e arcaica sia nel mondo greco sia in quello ebraico come pure in altre civiltà dell'Asia Minore. Nella lingua italiana antica compare come termine poetico-letterario, derivato dal latino, con il valore metaforico di "sacrificio estremo", anche in forma aggettivata, ad esempio nella prosa di D'Annunzio che definisce "città olocausta" la città di Fiume dopo i bombardamenti. Diffuso in diverse lingue romanze solo come termine aulico, diventa un termine frequente nel linguaggio giornalistico britannico durante la seconda guerra mondiale per descrivere le gravi perdite umane militari e civili.


Dal 1943 gli ambienti ebraici di lingua inglese utilizzano il termine per riferirsi allo sterminio degli ebrei in corso nell'Europa continentale. Uno dei primi utilizzi del termine olocausto da parte della stampa generalista si ha nella didascalia di una foto pubblicata il 7 maggio 1945 nelle rivista Life all'interno dell'articolo "German atrocities" relativa al rinvenimento dei prigionieri uccisi nel campo di Gardelegen. Dalla seconda metà del Novecento il termine "olocausto" è stato utilizzato per descrivere lo sterminio subito dagli ebrei d'Europa da parte della Germania nazista di Adolf Hitler, e in seguito, in modo estensivo, anche per indicare massacri o catastrofi su larga scala. A causa del significato religioso del termine, alcuni, ebrei ma non solo, trovano inappropriato l'uso di tale termine: costoro giudicano offensivo paragonare o associare l'uccisione di milioni di ebrei a una "offerta a Dio". Il termine Shoah è stato adottato più recentemente per descrivere la tragedia ebraica di quel periodo storico. "Shoah" (in lingua ebraica שואה), significa "desolazione, catastrofe, disastro". Questo termine venne usato per la prima volta nel 1940 dalla comunità ebraica in Palestina, in riferimento alla distruzione degli ebrei polacchi. Da allora definisce nella sua interezza il genocidio della popolazione ebraica d'Europa.  Il termine olocausto fu quindi principalmente utilizzato per indicare lo sterminio sistematico di milioni di ebrei da parte dei nazisti anche se fu usato anche per descrivere, come detto, il genocidio sistematico di altri gruppi che vennero colpiti nelle stesse circostanze dai nazisti, come i gruppi etnici Rom e Sinti (i cosiddetti zingari), comunisti, omosessuali, malati di mente, Pentecostali (classificati come malati di mente), Testimoni di Geova, sovietici, polacchi e altre popolazioni slave (considerati nel complesso Untermenschen). Aggiungendo anche questi gruppi il totale di vittime del Nazismo è stimabile tra i dieci e i quattordici milioni di civili, e fino a quattro milioni di prigionieri di guerra.



Molti Rom usano la parola Porajmos o Porrajmos («grande divoramento»), oppure Samudaripen («genocidio») per descrivere lo sterminio operato dai nazisti. Infine viene a volte usato il termine olocausto per riferirsi anche ad altri casi di genocidio, specialmente quello armeno e quello ellenico che portò all'uccisione di 2,5 milioni di cristiani da parte del governo nazionalista ottomano dei Giovani Turchi tra il 1915 e il 1923 e, più recentemente, lo sterminio nell’ex Jugoslavia della minoranza bosniaca e quello avvenuto in Uganda tra Utu e Toutsie. Più in generale, il termine olocausto viene a volte usato per indicare un'ingente perdita deliberata di vite umane, come quella che potrebbe risultare per esempio da una guerra atomica, da cui l'espressione "olocausto nucleare". Adolf Hitler, il Fuhrer, nel suo testamento finale prima di suicidarsi il 30 aprile 1945 scrisse che i "criminali ebrei" avevano "espiato" il loro "errore" in "modo umano". L'assurdo concetto di "umanità" accoppiato al processo di distruzione di milioni di ebrei d'Europa si riferiva alle procedure adottate, non per alleviare le vittime ma per rendere più agevoli i compiti degli esecutori. In effetti vennero dispiegati notevoli sforzi da parte dell'apparato di distruzione per evitare eccessi di brutalità ed esplosioni di violenza incontrollata, per alleviare il carico psicologico sul personale addetto allo sterminio. Fungevano anche a questo scopo l'adozione di metodi "scientifici" come gli autocarri e le camere a gas, l'impiego di ausiliari ucraini e baltici per gli incarichi più crudeli, l'utilizzo degli stessi ebrei per l'attività più macabre nei campi di sterminio come il prelevamento, il sotterramento e l'incenerimento dei cadaveri.