Indimenticabile! A Ostia antica protagonisti Giovanni Bellucci e Beethoven
“Un tema che fosse valido, per Beethoven, doveva esserlo in molti modi. Doveva potersi sviluppare, per così dire, in larghezza ed in altezza, ma anche in profondità. Questa è una delle molte interessanti “note a margine” che Giovanni Bellucci ha inserito nel concerto del 2 aprile così come, d’altronde, ha sempre fatto in ognuna delle splendide occasioni in cui ha riempito di musica la Sala Riario di Ostia Antica. Per la cronaca: grazie all’organizzazione dell’associazione “Magicamente incantando”, in particolar modo della presidente Maria Pia Nobile, il maestrio si è esibito in un programma di Beethoven e Chopin comprendente, tra l’altro, la sonata op.106 “Hammerklavier” e la Polacca op.53 “Eroica””, scrive l’esperto di musica Mauro Eberspacher.
“Sala piena, silenzio rapito ed applausi infiniti, interrotti solo dai due bis finali e dalla conclusione del concerto. Ma, come già avvenuto in tutte le precedenti occasioni, il racconto del concerto non ha senso se limitato al luogo, ai presenti, al programma eseguito. Ancora una volta la musica creata dal pianoforte di Bellucci esprime un mondo diverso, inatteso e molto difficile da dimenticare. Sarebbe giusto e corretto affermare che si è ascoltata della musica suonata in maniera semplicemente eccezionale, dalle opere giovanili dei due autori (in particolare una Polacca di Chopin dodicenne!), alle sonorità sulfuree, lussureggianti e magnifiche di una Rapsodia Ungherese di Liszt”, scrive Mauro Eberspacher.
“Anche la Sonata op.26 di Beethoven, la “Marcia funebre”, ha lasciato tutti allibiti ed ammirati. Potremmo dire che fin qui si parla di un concerto mirabile e degno di essere raccontato. Potremmo. Ciò che ha riempito la sala durante l’esecuzione della Sonata n. 29 op.106 “Hammerklavier”, però, non ha niente a che fare con la correttezza letterale di una descrizione perché sono stati travalicati i confini dello spazio e del tempo. Le dimensioni pretese da Beethoven per i suoi temi, che enunciavo all’inizio, hanno scardinato i righelli cartesiani mutando il mondo fisico in qualcosa di completamente diverso, in cui la musica si espandeva sferica ed onnipresente, densa di colori e lampi dall’indefinibile profondità”, prosegue il musicologo.
““Disumano”, è stato il commento di uno spettatore. Disumana è stata l’esperienza di ascolto, nel senso di sfere irraggiungibili, solo intuibili, aldilà della semplice umanità, oltre le misure fisiche. Oltre il tempo. E’ Bellucci ad essere un incantatore o è Beethoven che ha affidato agli spartiti la visione di una super-esistenza, insieme infima ed immensa? Visione in cui, per citare un paio di esempi, il tema del movimento lento sembra apparire solo attraverso la propria eco, riempiendo l’aria con gli armonici della propria danza, oppure l’ultimo immenso movimento in cui la fuga, di cui sarebbe formalmente composto, si disgrega in una galassia di pieni e vuoti, scintillante, compatta ed impalpabile. A chi, ci domandiamo insomma, dobbiamo lo stordimento sbalordito con cui abbiamo affrontato la seconda parte del programma: Chopin, Liszt ed infine, nei bis, al termine della Sonata “Tempesta” di Beethoven, la chiusura con il silenzio rappreso dopo l’ultima nota sospesa sul fiato di tutta la sala. “Bravo”, ha mormorato una signora due posti dopo di me. Se non l’avesse fatto non sarebbero partiti gli applausi, le voci, i fischi addirittura, e saremmo ancora là a galleggiare in quel mondo estraneo”, conclude.
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