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Invisibili di Fulvio Colucci, giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno (vincitore della prima edizione del Premio Ilaria Alpi) e Giuse Alemanno, scrittore e operaio, è un libro-reportage che racconta storie di uomini la cui vita è legata indissolubilmente al lavoro, sospesa in aria come il braccio di una gru, operai del più grande stabilimento siderurgico d’Europa, l’Ilva di Taranto. E’ anche il racconto delle contraddizioni di una città intera, sparsa su 2600 ettari di cui l’Ilva ne occupa 1600: facile capire chi comanda e chi dà da mangiare ai tarantini, più difficile è capire perché accade che dei bambini, come quelli di Taranto, siano in trincea per una guerra impari contro un nemico subdolo e imprevedibile, l’inquinamento da diossina e polveri sottili. Non molto tempo fa gli operai dell’allora ITALSIDER vennero chiamati metalmezzadri. Era la generazione dei Cipputi, dei sindacati e degli scioperi che paralizzavano la produzione, della terra o del mare da coltivare, dopo il turno.
L’ITALSIDER non c’è più. C’è l’ILVA. Una nuova fabbrica con un nuovo nome e nuove regole, ma soprattutto una nuova generazione. Una generazione che sogna la grossa vincita al gratta e vinci o al massimo la divisa da carabiniere. Per i nuovi operai il sindacato è lontano; al suo posto ci sono i tornei di calcetto aziendali che favoriscono la comunicazione, ma non troppo. Rimane la paura di non tornare più a casa e i santini a cui affidarsi, una volta custoditi nei portafogli ora immagini su cellulari. Immagini religiose che si affiancano a quelle delle mogli, dei figli: un pezzo di famiglia che oltrepassa con loro i tornelli dell’ILVA. La vita scandita dai turni. Tra la fabbrica e la vita fuori, lo spogliatoio dove si svestono i panni civili e si indossa la tuta da operai.
Perché l’Ilva è anche volti stanchi, epopea di pendolari, famiglie e figli, doveri e rancori, solidarietà e silenzi, verità e menzogne. L’Ilva è carne viva, metafora di una condizione universale, piccolo spaccato di mondo. Una fabbrica non soltanto di acciaio ma di storia e storie. E sullo sfondo una città lontana assente, dai contorni sfumati come fosse di sabbia, la stessa sabbia che si indurisce nel naso e lo fa sanguinare. Questo è uno dei pregi di Invisibili, la narrazione di un’umanità divisa fra la necessità e il rifiuto, la psicologia di chi ogni giorno passa quei cancelli aspettando il momento di uscirne, il malessere di chi sa che non può farne a meno pur essendone sempre tentato. Il ricatto occupazionale e il sentirsi colpevoli di lavorare.
Invisibili di Fulvio Colucci, giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno (vincitore della prima edizione del Premio Ilaria Alpi) e Giuse Alemanno, scrittore e operaio, è un libro-reportage cheracconta storie di uomini la cui vita è legata indissolubilmente al lavoro, sospesa in aria come il braccio di una gru, operai del piùgrande stabilimento siderurgico d’Europa, l’Ilva di Taranto. E’ anche il racconto delle contraddizioni di una città intera, sparsa su 2600 ettari di cui l’Ilva ne occupa 1600: facile capire chi comanda e chi dà da mangiare ai tarantini, più difficile è capire perché accade che dei bambini, come quelli di Taranto, siano in trincea per una guerra impari contro un nemico subdolo e imprevedibile, l’inquinamento da diossina e polveri sottili. Non molto tempo fa gli operai dell’allora ITALSIDER vennero chiamati metalmezzadri. Era la generazione dei Cipputi, dei sindacati e degli scioperi che paralizzavano la produzione, della terra o del mare da coltivare, dopo il turno. L’ITALSIDER non c’è più. C’è l’ILVA. Una nuova fabbrica con un nuovo nome e nuove regole, ma soprattutto una nuova generazione.
Una generazione che sogna la grossa vincita al gratta e vinci o almassimo la divisa da carabiniere. Per i nuovi operai il sindacato è lontano; al suo posto ci sono i tornei di calcetto aziendali chefavoriscono la comunicazione, ma non troppo. Rimane la paura dinon tornare più a casa e i santini a cui affidarsi, una volta custoditinei portafogli ora immagini su cellulari. Immagini religiose che si affiancano a quelle delle mogli, dei figli: un pezzo di famiglia cheoltrepassa con loro i tornelli dell’ILVA. La vita scandita dai turni. Tra la fabbrica e la vita fuori, lo spogliatoiodove si svestono i panni civili e si indossa la tuta da operai. Perché l’Ilva è anche volti stanchi, epopea di pendolari, famiglie e figli,doveri e rancori, solidarietà e silenzi, verità e menzogne. L’Ilva ècarne viva, metafora di una condizione universale, piccolo spaccatodi mondo. Una fabbrica non soltanto di acciaio ma di storia e storie. E sullo sfondo una città lontana assente, dai contorni sfumati comefosse di sabbia, la stessa sabbia che si indurisce nel naso e lo fa sanguinare. Questo è uno dei pregi di Invisibili, la narrazione di un’umanitàdivisa fra la necessità e il rifiuto, la psicologia di chi ogni giornopassa quei cancelli aspettando il momento di uscirne, il malessere di chi sa che non può farne a meno pur essendone sempre tentato. Il ricatto occupazionale e il sentirsi colpevoli di lavorare.
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