Riportiamo integralmente il comunicato dell’associazione L’Alternativa Onlus sulla situazione di disagio, abbandono e indifferenza in cui versano i senza fissa dimora del X Municipio. Il comunicato a nome dell'associazione è stato redatto da Marzia Pitirra. 


In questi giorni, in alcuni siti del X Municipio, sono apparse sagome bianche, fiori e cartelli di denuncia, installazioni che avete trovato e troverete per le strade di Ostia messe lì per ricordare Bruno, un senza dimora, morto pochi giorni fa. Quelle sagome vogliono denunciare la morte (anzi le morti) di chi per gran parte della sua vita è stato un invisibile. Bruno, noi – volontari de L’Alternativa Onlus – vorremmo farvelo conoscere e spiegarvi perché lui non è morto una volta sola.



Bruno Nelson Carelho , 55 anni, era originario del Mozambico
e aveva vissuto in Portogallo per molti anni, prima di arrivare in Italia e infine ad Ostia. Bruno aveva lavorato come giardiniere, come gommista, come elettrauto. Bruno aveva un passato che parlava di cliniche psichiatriche e sofferenza. Bruno aveva tutta una sua teoria sullo stare in strada e su come viverci. Perché Bruno in strada ci viveva, era un senza dimora, un homeless, un barbone.

Lo avrete sicuramente visto alla Posta Centrale dove ha dormito per molto tempo sul muretto di marmo al lato del postamat. Dopo aver creato piccoli disagi, non tanto per i suoi comportamenti quanto per questioni di “decoro urbano” e di immagine della zona, alcuni residenti hanno organizzato una raccolta firme per cacciarlo. Si era quindi spostato altrove, prima su una panchina vicino al Mercato delle Fiamme Gialle e poi nuovamente trasferito a dormire in via delle Gondole, in un giaciglio tra i cespugli.

Lo avevate mai notato?

Qualora non lo abbiate mai visto in questi luoghi, non potete non averlo notato quando trascorreva le sue giornate in Via delle Baleniere, poco distante da un grande negozio di abbigliamento. Se ne stava su una panchina a bere, a parlare, solitamente da solo, più raramente con qualche passante, oppure a giocare con le cose che trovava per strada: una pistola ad acqua, strumenti musicali per bambini, bastoncini, occhiali rotti. Ogni volta che andavamo a trovarlo ci stupiva per le tante cose che portava con sé e anche su quegli oggetti e sulla loro utilità aveva una teoria ben precisa.

Lo avevate mai guardato?

Il giorno del suo ricovero all’ospedale Grassi lo hanno trovato sdraiato per terra, stremato e inerme, perdeva sangue dalla bocca e qualcuno ci aveva detto che erano già alcuni giorni che versava in quelle condizioni. Giorni in cui nessuno ha mosso un dito per aiutarlo. Chiamata d’urgenza un’ambulanza, Bruno è stato tenuto per un periodo in rianimazione e poi spostato in medicina uomini con un referto medico che non dava speranze, poche settimane di vita.

Il ricovero ha rivelato come anche le strutture ospedaliere non siano ancora in grado di superare le barriere del pregiudizio e garantire un servizio più umano alle persone vittime di emarginazione e disagio; nonostante questo, le sue ultime settimane Bruno le ha vissute in un letto vero, accudito tutti i giorni dai volontari della nostra associazione e da quelli dell’ospedale e ha finalmente consumato dei pasti regolari per quanto il suo stato di salute glie lo permettesse. Forse i suoi ultimi giorni, anche se nella sofferenza, sono stati i più “normali” degli ultimi anni. E’ strano tornare a vivere la quotidianità quando si è in fin di vita e non si ha neanche il tempo di abituarcisi. E’ assurdo iniziare ad intravedere alternative quando non ha più senso.

La vita di Bruno, almeno quella che abbiamo conosciuto noi, è stata una vita di abbandono e di solitudine, anni passati in strada dove l’unica compagnia diventava un cartone di vino, i suoi giochi e oggetti reinventati. Vivere in strada significa vivere l’indifferenza altrui sulla propria pelle, giorno dopo giorno, sempre più impermeabili alla vita, ai sentimenti, ai rapporti umani. Si diventa invisibili agli occhi della società e si perde completamente una ragione per continuare ad andare avanti.

Ora, avete capito chi era Bruno?

Bruno è morto, dopo un mese di ricovero, la notte tra il 4 e 5 aprile 2015. Bruno però, non è morto quella notte; o meglio, non è morto solo quella notte. Bruno è morto quando le istituzioni lo hanno lasciato per strada, quando i servizi sociali non lo hanno preso in carico, quando in ospedale veniva guardato come il solito caso senza speranza, quando nessun passante si è mai fermato a capire se c’era una persona che aveva bisogno d’aiuto. Bruno è morto ogni volta che una persona gli è passata davanti e non lo ha guardato. Per quanto la sua cartella clinica dica altro, noi sappiamo che Bruno è morto di stenti, di solitudine, di abbandono, di emarginazione e di indifferenza.