La pellicola gli è valso il conferimento di una Laurea in Italianistica

Roma - L’Università degli Studi di Roma Tre ha conferito la Laurea Honoris Causa al regista Giuseppe “Pupi” Avati. L’artista ha conseguito la laurea in Italianistica, dopo un attento studio di una delle sue ultime pellicole: “Dante”, prodotto nel 2022 e che racconta una parte della vita legata al grande poeta fiorentino e soprattutto padre della lingua italiana.

Roma Tre incontra il regista Pupi Avati

Il processo per il conferimento della Laurea Honoris Causa a Pupi Avati nasce dal Dipartimento di Studi Umanistici di Roma Tre, dove i docenti Anna Pegoretti (cattedra di Letteratura Italiana) e Maurizio Fiorilla (Filologia Italiana, Filologia e Critica Dantesca) hanno studiato l’opera del regista legata alla figura di Dante Alighieri. Uno studio che, negli ultimi anni, ha coinvolto ulteriori accademici legati al “sommo poeta”, portando il Dipartimento della Scuola di Lettere Filosofia e Lingue ad avanzare la possibilità di un omaggio all’artista italiano.

Il rapporto dell’artista con Dante Alighieri

Roma Tre ha evidenziato la grandezza del lungometraggio “Dante”, che va al di là di un semplice film sulla vita del padre della lingua italiana. Ad Avati si riconosce la capacità di aver studiato con profondità il “sommo poeta”, guidato anche dalla passione per il Medioevo e soprattutto dalle sue origini contadine che hanno permesso di rappresentare al meglio il protagonista nel periodo più rurale della propria vita. In tutto ciò, senza mancare di originalità: nella pellicola, il regista racconta Dante secondo il punto di vista dello scrittore Giovanni Boccaccio.

Che rapporto ha Pupi Avati con l’Università?

Il mondo dell’Università è stato fonte d’ispirazione per Pupi Avati anche a livello cinematografico, come avvenne nel 1985 con “Festa di laurea”. Un film autobiografico, dove il regista racconta l’abbandono degli studi universitari e il sogno di diventare diplomatico: dopo un esame di Dottrine Politiche dove venne bocciato, l’artista falsificò un 26 sul proprio libretto per non deludere la propria madre, che a Bologna gli aveva preparato una festa per il primo esame universitario superato. Nonostante la promessa al professor Curcio di tornare a sostenere la prova orale e superarla con il giusto studio, tale parola non si poté mantenere considerato come il libretto era irrimediabilmente compromesso a vita. Un cerchio chiuso a quasi settant’anni di distanza, con una laurea che finalmente entra nella vita del regista e che avrebbe riempito il cuore dell’amata madre.