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“In qualità di Responsabile Nazionale di un gruppo garantista nato su Facebook nella metà di agosto c.a. che unisce circa 1000 aderenti sul territorio nazionale, ho ritenuto opportuno inoltrare una lettera aperta a Michele e Sabrina Misseri per esprimere un mio parere sulla vicenda che da quasi due mesi infiamma e coinvolge gli animi degli italiani distribuiti tra giustizialisti e garantisti, colpevolisti e innocentisti, con l’ago della bilancia che pende verso la tesi giustizialista e colpevolista, sulla base delle ammissioni confessorie dei due indagati”. Se consideriamo le ultime dichiarazioni emerse dalla perizia del Professor Luigi Strada, redatta in seguito all’autopsia sulla povera adolescente, si sostiene che Michele Misseri non può aver ucciso Sarah Scazzi, (fonte Il Messaggero, cronaca pag. 14, del 12 novembre c.a). “Specifico che se sono colpevoli padre e figlia, separatamente o in misura concorsuale, auguro una confessione unica e definitiva per dare un volto chiaro al/agli assassini che hanno barbaramente soppresso la vita di un angelo”, dice l’On. Pier Paolo Zaccai, “riparate i conti con la vostra coscienza, date la dignità di un colpevole ad un innocente soppresso brutalmente. Se coprite altri responsabili, mostrate un minimo di sensibilità umana, abbiate il coraggio di far affiorare la verità, quella verità modificata troppe volte nelle 8 confessioni diverse enunciate. Contribuite ad una giusta assunzione di responsabilità restituendo chiarezza rispetto ad un omicidio aberrante, considerato che nessuno potrà restituire il dono di una vita terrena”. Il giusto processo non deve essere mediatico, oppure come avveniva nell’antica Roma nel foro cittadino, oppure nelle pubbliche piazze della Rivoluzione Francese. Il ruolo dei mezzi d’informazione che anticipano sommariamente il colpevole, consegnandolo al tribunale del popolo è indecente anche per la pressione psicologica a cui sono sottoposti gli stessi familiari. I media non sono più solo strumenti attraverso cui comunichiamo, ma sono una nuova dimensione in cui viviamo, una lente attraverso cui si percepisce la realtà. Il delitto di Sarah Scazzi, la sovraesposizione mediatica della morte, ci riporta indietro al 1981 alla tragedia di Vermicino, all’atroce diretta sull’agonia di un bambino, Alfredino Rampi, caduto in un pozzo; un punto di non ritorno in cui i mezzi d’informazione sono finiti alimentando il canale dell’orrido, della spettacolarizzazione, trasformando il dolore in uno show, la sofferenza in un indice d’ascolto. Ogni volta il luogo della tragedia diventa un set televisivo, tutti in prima fila per ottenere una dichiarazione, uno scoop per alimentare l’attesa dell’orrendo. Oggi la realtà è quella che passa attraverso l’obiettivo di una cinepresa, la videocamera di un telefonino, la webcam di un computer. Dov’ è finita l’etica comportamentale, le trasmissioni televisive hanno trasformato la tragedia umana in una forma di intrattenimento. Ricordiamo tutti il caso Cogne diventato un “Cogne show” con la Franzoni presenzialista in tv, oppure il “ Novi-Ligure show”o ancora il caso Garlasco con l’omicidio di Chiara Poggi, la strage di Erba compiuta da Rosa Bazzi e Olindo Romano ecc.. Casi e casi sparsi a tracciare parallelismi con la morte in diretta, in cui la televisione si è via via trasformata in un reality dell’orrore, in una fiction drammatica raggiungendo elevati livelli di morbosità e curiosità attorno ai sospettati e ai colpevoli. Un tartassamento mediatico di proporzioni enormi con una cura dei dettagli maniacale, appostamenti continui davanti le abitazioni delle vittime, nonché lo svelamento di tutti i dettagli più intimi delle persone coinvolte. Il punto è: è possibile che il popolo debba cibarsi televisivamente di questi spettacoli? Il caso Scazzi è un’ulteriore conferma di come in Italia i casi di cronaca, ma soprattutto i delitti che si consumano all’interno delle mura domestiche, sconfinano in melodrammi di sesso e
sangue, tanto da attirare una folla di curiosi che affluiscono nei luoghi del crimine, in questo modo la dignità delle persone, la memoria delle vittime, finisce per essere calpestata per la corsa sfrenata e agghiacciante allo show business. Il processo deve avvenire nelle aule dei tribunali come in ogni democrazia moderna, altrimenti si calpesta la certezza del diritto, si frantumano in mille pezzi i valori liberali e democratici, che costituiscono le basi e le garanzie di una società civile ed equilibrata. “Mi auspico- continua il Consigliere- che voi siate trattati sulla base delle norme vigenti e dei principi Costituzionali ( art.27 della Costituzione italiana). Siano riconosciute le garanzie di un giusto processo per l’applicazione di una giusta pena, una volta individuato in modo incontrovertibile il colpevole o i colpevoli. E che la pena sia severa, molto severa, assolutamente severa per gli autori dell’orrendo, ingiustificato ed ingiustificabile crimine. Nella consapevolezza che per quanto severa possa essere è sempre poca cosa rispetto all’assassinio compiuto”. Il processo mediatico è una degenerazione contemporanea che rende sempre più imperfetta la democrazia, che dimostra l’esistenza di una democrazia incompiuta. I giudici sono degli uomini che svolgono le indagini, e come tutti gli uomini possono subire l’influenza esercitata dalla narrazione dei potenti media, nella futura espressione della sentenza. Le 8 progressive versioni diverse del delitto fanno supporre una strategia difensiva che, accompagnata dalla sovraesposizione mediatica, ha determinato un globale inquinamento dell’intera vicenda. “Concludo -dice Zaccai- auspicando lo spegnimento dei riflettori sulla vicenda per lo svolgimento di un giusto processo e per la certezza della pena”.
Pier Paolo Zaccai
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