A Ostia è “emergenza sociale”: mancano gli spazi di aggregazione
Ostia – A Ostia è emergenza sociale. A lanciare, anzi a ri-lanciare l’allarme è Valentina Rizzi, operatrice di teatro-terapia, dopo le accorate parole di don Franco De Donno a proposito dello sgombero delle famiglie rom alla pineta delle Acque rosse. In quell’occasione diversi nuclei familiari con bambini furono allontanati dalle casupole, rase al suolo, a ferragosto. Ed in previsione, sebbene non ci siano conferme, ci sarebbe lo sgombero del piccolo insediamento di via Ortolani, ad Acilia, dove vivono tra le trenta e le quaranta persone, per due terzi minori che frequentano la vicina scuola Leonori.
“A noi sembra che il problema della gestione degli “spazi pubblici” sia diventato cruciale in un territorio ad alta densità abitativa e in pieno aumento demografico”, dichiara Valentina Rizzi. “Come ogni settembre ci si ritrova a fare il bilancio della passata stagione estiva, a partire dal “grande pasticcio” della concessione di aree pubbliche a privati per la costituzione delle tanto contestate soste a pagamento, partite in ritardo e poi destituite del tutto”.
Secondo l’operatrice sociale, si inserisce nella “vicenda” anche il caso del Teatro del Lido, chiuso a giugno del 2008 e mai riaperto. Finora si sono avvicendate varie ipotetiche gestioni per la riapertura. Negli anni si sono persino fatti i nomi di vip del calibro di Enrico Montesano o di associazioni importanti quali Zetema, tutti però ugualmente “contestati perché fautori d’interessi privati che non pongono al centro delle politiche e degli spazi territoriali l’interesse di chi ci abita”.
Valentina Rizzi riferisce anche dell’”imbarazzante” caso della scuola dell’infanzia “Sagittario”, chiusa da quasi dieci anni, con cartelli che ne indicano da circa due anni un improbabile ma mai avvenuto inizio di cantierizzazione. I locali sono stati recentemente sgombrati dalle forze dell’ordine per impedire a 15 nuclei familiari d’impossessarsi dell’edificio che avevano occupato per un mese.
“Nulla da obiettare sulla necessità di tutelare uno spazio pubblico da occupazioni private che ne pregiudichino l’utilizzo da parte della cittadinanza: gli spazi pubblici sono e debbono restare a disposizione di tutti”, sottolinea l’operatrice sociale.
E qui Rizzi sottolinea “l’enorme differenza tra l’occupazione del Lido da parte di una nutrita rappresentanza di associazioni local, e quella delle famiglie a viale Vega. Nel primo caso lo spazio è stato occupato per poter restare aperto e fruibile da scuole, comitati e cittadini che necessitassero dello stesso. Nel secondo caso lo spazio è stato occupato, seppur per disperate necessità abitative, per fini privati”.
Fatta questa doverosa distinzione, Rizzi è però perplessa riguardo la gestione del post-occupazione viale Vega. Subito dopo lo sgombero, sono state apposte alte staccionate di lamiere e lucchetti, con una sorveglianza armata che persiste a distanza di mesi. “Se l’obiettivo di chi ci rappresenta è la tutela degli spazi pubblici a beneficio della cittadinanza, a noi non sembra pertinente e anzi piuttosto controproducente sgomberare uno spazio pubblico da un’occupazione privata per farne un mausoleo dove l’unico compito dato agli agenti in divisa è tenere chiuso e presidiare, non facendo entrare nessuno”.
Insomma, per farla breve: quando sarà restituito lo spazio di viale Vega? La ristrutturazione annunciata non è avvenuta e nulla sembra cambiato per il cittadino. Mentre prima era uno spazio chiuso per cantieri inesistenti, poi lo è stato per occupazione privata, ora lo è per vigilanza armata.
“Poco cambia se non c’è uno sforzo di valorizzazione dello stesso, se non lo si destina ad un’attività di pubblica utilità per il quale era stato concepito: accogliere bambini”, prosegue Rizzi. “Anzi: a fianco allo scalcinato cancello chiuso a chiave e assediato dalle forze armate, si legge che presto qui ci sarà una sede distaccata di un ufficio tecnico di lungomare Paolo Toscanelli, ma non vengono indicate né date d’inizio lavori per la messa in sicurezza dell’edificio lasciato in completo stato di abbandono e inagibile, né date di apertura del servizio stesso alla cittadinanza. Viene da chiedersi a questo punto: per chi è stato sgombrato questo spazio?”.
“Se lo spazio è pubblico, appartiene alla comunità: non appartiene a chi lo vigila o a chi è incaricato di gestirlo perché chi è incaricato di gestirlo non deve mai dimenticare che rappresenta gli interessi di una comunità cui deve render conto, secondo principi di legalità e legittimità popolare che non vanno sottovalutati”, continua l’operatrice, ponendosi domande e contestando le decisioni delle istituzioni.
“Se il compito di rappresentanti politici che ci governano è quello di istituire politiche partecipative sul territorio e azioni che tutelino l’interesse pubblico, la direzione da prendere dovrebbe essere molto diversa da quella assunta durante gli sgomberi dei campi rom e dell’asilo Sagittario. La tutela degli spazi pubblici passa per politiche inclusive di apertura nei confronti del territorio, non attraverso chiusure metalliche, gabbiotti e vigilanze armate. Tanto ancora potrebbe esser fatto, senza investimenti di soldi, per aiutare le politiche territoriali, rispettando le minoranze etniche, valorizzando quelle azioni in atto che mirano ad includerli valorizzando la loro diversità come ricchezza”.
“Cosa succederà ai rom che hanno appena cominciato un cammino d’integrazione e di reciproco accrescimento con alcuni presidi territoriali, se l’accoglienza ricevuta da chi ci governa è diventata una politica di chiusura e sgombero e grossi titoli sui giornali testimoniano il grande operato di chi caccia e recinta? Bisogna scegliere da che parte stare: da quella di chi chiude e vigila o da quella di chi apre e accoglie. Molto ancora si potrebbe fare con piccole azioni, siamo ancora in tempo. Si potrebbe cominciare restituendo parte dello spazio della pineta ai rom, permettendogli di legittimare la loro presenza sul territorio”, sostiene Rizzi, in accordo con il pedagogista Stefano Di Tomassi, Anna Cirillo e don Franco.
“Poi, ci sarebbe la possibilità di destinare lo spazio della scuola e altri ancora chiusi e inutilizzati ai giovani di associazioni creative e oneste, che hanno idee e proposte da mettere in campo sul territorio. Perché non destinare a bando per le giovani leve, per esempio quello delle Idee, alcuni degli spazi chiusi che ancora restano? Perché lasciar morire questi spazi disabitati e talvolta armati? Scegliere se aprire o chiudere talvolta equivale a scegliere tra vita e morte”.
“Lasciamo perdere i soliti fondi frammentati e alla lunga insufficienti, lasciamo perdere i bandi per destinare luoghi a chi vuol lucrarci. Sarebbe poi così folle immaginare per questi luoghi, attività gratuite aggreganti che mancano sul territorio come sale prove per giovani band o compagnie teatrali, sale riunioni, sale per incontri letterari, campetti da calcio o pallavolo free? Restituire spazi di rappresentanza e di libertà ai cittadini potrebbe essere un modo per intraprendere finalmente la strada giusta, quella dell’apertura, del progresso e dell’integrazione sociale”, conclude Rizzi.
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