Società, tra delitti, raptus e disperazione. Ma un ‘filo di speranza’ c’è ancora
Ostia – Stamattina il tentato suicidio di una donna di sessant’anni che, dopo aver vergato un biglietto per i propri familiari, disperata, si è gettata in un pozzo artesiano posto nel giardino della propria abitazione di Ostia antica. E’ stata salvata ma è gravissima. Dieci giorni fa l’omicidio della povera Alessandra Iacullo a Dragona, la ragazza di trent’anni uccisa, forse per gelosia, in via Riserva del Pantano. Prima ancora, l’assassinio di Michela Fioretti e un altro tentato suicidio, sempre a Dragona, da parte di giovane donna, mamma di un bambino. Questi tragici episodi verificatisi nel nostro territorio sono lo specchio, forse, di un disorientamento e di una deriva sociale generali, acuiti, probabilmente dalla crisi economica attuale che ci ha ributtato in una sorta di crepuscolo medievale. Ostia e l’hinterland riflettono quanto sta accadendo nel resto del nostro Paese. Il massacro di Milano, per esempio, col giovane ghanese ‘in trance’ che ammazza i passanti senza una ragione.
O il raptus che nei giorni scorsi ha portato uno stimato professionista di Bari a sterminare la sua famiglia. A restare vittime di questo ‘sbandamento’ gli ultimi, i più fragili ed indifesi. Ma ecco che, pur nel difficile momento storico che stiamo vivendo, c’è ancora chi riesce a cogliere la bontà e la bellezza che ancora ‘sopravvivono’. E a regalare la speranza restituendo dignità agli ultimi. In questo caso ad un neonato partorito e poi gettato tra i rifiuti ad alcune centinaia di chilometri da Ostia. A Novara, precisamente. A raccontare la ‘storia’ è Massimo Gramellini, noto giornalista de La Stampa, autore di questo articolo pubblicato sabato 11 maggio. La vicenda è tristissima ma un ‘filo di speranza’ c’è. E 'fa bene' leggerla.
“Buongiorno, mi chiamo Gabriele Francesco. Sono nato a Novara l’11 aprile 2013 e oggi avrei un mese, se fossi ancora vivo. Invece sono morto lo stesso giorno in cui sono nato. Adesso tutti starete pensando che mamma e papà non si sono comportati bene: in effetti mi hanno lasciato solo, sotto un cavalcavia, con indosso pochi stracci e senza un biberon nei paraggi. Ma io non mi permetto di giudicarli. Certo è che noi neonati siamo indifesi: ci buttano dai ponti, ci fanno esplodere sotto le bombe, ci vendono per pochi soldi. Siamo carne da telegiornale. Prima di chiudere gli occhi, mi sono raggomitolato tra i rifiuti per cercare conforto e ho pensato: ma è davvero così brutto questo mondo che sto già per lasciare?
Poi mi sono sentito sollevare e sulla nuvola da cui vi scrivo ho visto che la bellezza c’è ancora. C’è bellezza nel camionista che mi ha trovato e nell’ispettore che mi ha messo questo nome meraviglioso: è importante avere un nome, significa che sei esistito davvero. C’è bellezza nei poliziotti che per il mio funerale hanno fatto una colletta a cui si sono uniti tutti, dai pompieri alle guardie forestali. E c’è, la bellezza, nella ditta di pompe funebri che ha detto «per il funerale non vogliamo un euro», così i soldi sono andati ai volontari che in ospedale aiutano i bimbi malati. Dove sono nato io, metteranno addirittura una targa. Allora non sono nato invano. Mi chiamo Gabriele Francesco, e ci sono ancora.
(Liberamente tratto dal testo inviatomi ieri (venerdì 10 maggio, ndr) giorno del funerale di Gabriele Francesco, da un lettore di Novara che ha chiesto di restare anonimo. C’è tanta bellezza anche in lui)”. Massimo Gramellini
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