Ostia -  Omicidio Cristallo, agì per legittima difesa. Questa la motivazione con la quale la terza corte d'assise di Roma ha assolto Luciana Cristallo e l'amante Fabrizio Rubini lo scorso 23 ottobre dall'accusa di concorso in omicidio volontario premeditato e in occultamento di cadavere (quest'ultimo reato dichiarato prescritto).

 

 

"E' giustificato il dubbio che possa aver agito in stato di legittima difesa", precisano i magistrati riferendosi a Luciana Cristallo quando il 27 febbraio 2004 uccise con un piccolo coltello da borsetta l'ex marito Domenico Bruno, imprenditore originario di Catanzaro di 45 anni, che, nel corso dell'ennesima lite in casa, avrebbe tentato di strangolarla.

 

 

Il pm Elisabetta Ceniccola aveva chiesto per i due imputati la condanna all'ergastolo. Il cadavere, buttato nel Tevere, fu trovato un mese dopo su una spiaggia di Ostia. "Dalle risultanze processuali - si legge nelle motivazioni - sono ampiamente emersi i ripetuti comportamenti violenti dell'uomo nei confronti della moglie, i quali erano culminati con l'adozione a suo carico, l'11 settembre 2003, di un provvedimento cautelare di allontanamento dall’abitazione e dai luoghi frequentati dall'ex moglie e successivamente, il 22 gennaio 2004, con l'adozione di analogo provvedimento di allontanamento dai luoghi frequentati da Rubini".

 

 

Secondo la corte, "non può dirsi raggiunta la prova certa, oltre ogni ragionevole dubbio, che la Cristallo, nell'atto di difendersi, abbia assunto il ruolo di aggressore anche perché, nella pur reiterata sequenza dei fendenti (una dozzina, ndr), soltanto quello al cuore, verosimilmente il primo, era stato causa della morte, mentre gli altri, ad eccezione di due colpi penetranti che avevano attinto il polmone sinistro, erano stati portati con meccanismo di pressione e strisciamento della lama, compresi quello al braccio destro, compatibile con un
meccanismo cosiddetto da 'difesa', e quello a livello della regione dorsale destra che po’ far pensare a un movimento incontrollato e incontrollabile della vittima nel tentativo di sottrarsi ai colpi".

 

 

 

"E non può escludersi – prosegue ancora la corte - che la donna abbia davvero corso pericolo di vita a seguito dell'asserito afferramento per il collo con tentativo di soffocamento da parte della vittima e che ella sia stata a quel punto costretta a reagire in quel modo, considerato che la brutale aggressione diretta dal Bruno contro la moglie prima che costei usasse il coltello non depone per una colluttazione paritaria, anche in ragione della riconosciuta maggiore prestanza fisica dell'aggressore".

 

Insomma, "la situazione  descritta dalla donna, che da anni subiva le angherie morali e fisiche da parte del marito, ben si prestava a essere interpretata alla stregua di una situazione in concreto riferibile alla fattispecie normativa della legittima difesa".

 

 

L'imputata "era stata costretta a difendersi da un'aggressione compiuta dall'ex marito, non nuovo a tentativi di strangolamento nei suoi confronti, onde la reazione poteva non apparire eccessiva, considerato che chi è reiteratamente e gravemente aggredito di regola reagisce come può, secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l'intensità della reazione finalizzata indurre la cessazione dell'avversa condotta lesiva, salva l'ipotesi, in questo caso non ricorrente, di manifesta sproporzione".

 

 

Per la corte d'assise, Fabrizio Rubini "non aveva alcun valido motivo per uccidere Bruno, così come non l'aveva la Cristallo, posto che si è dimostrato inconsistente l'unico possibile movente  individuato dall'accusa ovvero quello dell'interesse economico, dal momento che è rimasto appurato che Bruno, con le sue tante attività, aveva accumulato solo debiti".

 

(fonte Agi)