Parigi – Parigi sotto assedio dei terroristi islamici. La Capitale francese da oltre due giorni sta vivendo ore drammatiche per un doppio attacco: a nord della Ville Lumiere due estremisti sono asserragliati in una tipografia con degli ostaggi, mentre altri ‘fratelli jihaidisti’ si sono barricati in un supermarket kosher con cinque ostaggi e un neonato di sei mesi. Secondo gli investigatori e gli esperti di terrorismo internazionale si tratterebbe di una strategia studiata a tavolino dai terroristi della Jiihad. Parigi, intanto, è una città paralizzata dal terrore mentre le forze dell'ordine cercano di vigilare sugli obiettivi sensibili. Il clima che si respira per le strade parigine è di guerra: mezzi blindati, militari, forze speciali. La gente ha paura. Sono ore durissime: si teme per nuovi attacchi e per la sorte degli ostaggi. La Tour Eiffel ieri sera è stata brevemente spenta in segno di lutto mentre nel resto del mondo si moltiplicano le iniziative a sostegno della città. 


Ecco i fatti. Tutto è cominciato mercoledì 7 gennaio quando la redazione di Charlie Hebdo, il settimanale satirico che pubblicò le vignette sul profeta Maometto considerate blasfeme da gran parte del mondo musulmano, è stata oggetto di un raid (e non è la prima volta) da tre terroristi che vi hanno fatto irruzione trucidando con i kalashnikov 12 persone tra cui i maggiori esponenti della rivista. A cadere sotto i colpi il direttore Stephan Charbonnier (che firmava le sue vignette come Charb), il famoso disegnatore francese George Wolinski (tra i disegnatori di Linus), i vignettisti  Cabu, Tignous, Honoré e quattro altri collaboratori del giornale. A loro si aggiungono un inserviente e un poliziotto, finiti nel massacro perché sulla scia di sangue degli attentatori, oltre ad altre quattro persone che versano ancora in gravi condizioni. Stavolta la reazione sembra essere riconducibile non direttamente alle vignette del 2011, ma ad una copertina del giornale dedicata allo scrittore francese Michel Houellebecq. La copertina è stata realizzata in concomitanza con la controversa e dibattuta uscita del suo romanzo “Submission” nel quale egli descrive (in tono duro e sarcastico) una Francia nelle mani di un Presidente Musulmano, che dopo aver vinto le elezioni ridisegna completamente lo Stato in ragione della religione islamica. Anche lo scrittore in questo momento è sotto protezione e scosso per il terribile attentato.


Le immagini delle esecuzioni all’esterno della redazione hanno fatto il giro del mondo per la loro cruenta realtà, in particolare quella del poliziotto islamico Ahmed Merabet, 42 anni, freddato senza pietà da uno degli attentatori, mentre implorava con il braccio alzato il suo carnefice. Il grido dei due uomini è chiaro: “Allah Akbar” e non lascia spazio a dubbi su movente e matrice dell'azione. La giornata a Parigi è proseguita nella psicosi e con la caccia ai terroristi, grazie all’impiego massiccio di migliaia di agenti speciali, polizia e forze dell’ordine e con il livello di allerta di massima pericolosità. Questo sta ovviamente influenzando la vita dei parigini, che temono altri atti di simile portata. I due killer di Charlie Hebdo sono stati riconosciuti e identificati: sono i fratelli Said e Chérif Kouachi, entrambi sulla trentina e di origine algerina, che hanno preso parte, a quanto si apprende in queste ore, ad addestramenti militari in Siria e Yemen, dove l’integralismo islamico si esplicita in realtà pericolose e radicali come Isis (Stato Islamico di Siria e Iraq) o Al Quaeda. Accanto a loro un terzo individuo, diciotto anni, il più giovane del commando, che pare abbia avuto ruolo di copertura, ma non è stato ripreso nelle immagini amatoriali girate nei concitati momenti dell’attentato.


Dura la reazione del presidente François Hollande che ha richiamato i cittadini e la Francia all’unità nazionale, condannando come atto vile quello verificatosi nella mattinata più lunga della recente storia di Parigi, della Francia, del mondo. Le reazioni si sono propagate ovunque, sugli organi di stampa, sui quotidiani internazionali, sui social networks, dove è stato lanciato l’hashtag #JeSuisCharlie in segno di solidarietà, di rispetto della dignità e della libertà umana. Numerose poi sono state le manifestazioni andate in scena nelle più importanti città europee e mondiali, Parigi in primis. A tutto questo si è accompagnata la condanna, anche se talvolta non dura e unanime come ci si attendeva, da parte di esponenti del mondo musulmano “moderato”, che comunque ha preso le distanze da quanto accaduto. Non sono mancate nondimeno le reazioni contrastanti di quelli che hanno valutato le vignette di Charlie Hebdo esagerate e irrispettose, una provocazione sfociata nell’atto più violento immaginabile.


Come le parole del Financial Times che in un pezzo dedicato alla strage ha definito 'stupidi' i vignettisti del settimanale. Nelle ore successive al tragico evento stanno via via emergendo una serie di posizioni che si sintetizzano nel più semplice e gettonato: "questo non è l'Islam”, che lascia spazio a riflessioni e giudizi spesso discordanti fra loro. C’è anche chi sta strumentalizzando l’attentato per le proprie visioni altrettanto estremiste, di semplificazione nella definizione di un mondo e una realtà molto complessa, come quella riconducibile alla religione islamica. Entrambe le posizioni ottengono lo stesso risultato: l’assenza di un’analisi profonda di un problema che va affrontato definitivamente e seriamente, abbandonando posizioni buoniste da un lato e filo-razziste dall’altro. Il terrorismo islamico è un fenomeno molto complesso, spesso ridimensionato, talvolta ingigantito, troppo facilmente etichettato. Che ciò che è accaduto sia riconducibile alla religione musulmana è fuori discussione, è palese e lampante. Inneggiare ad Allah durante un’esecuzione premeditata per vignette tacciate di blasfemia, toglie spazio ad ogni titubanza. Sarebbe ora di occuparsi di questa faccenda con maggior attenzione e consapevolezza.


Questi individui sono integralisti e fanatici, ma sono musulmani al pari di quelli moderati e integrati che vivono in serenità con noi. Ciò che viene sottolineato senza la dovuta efficacia, in questa vicenda, è che gli attentatori sono cittadini francesi, con passaporto europeo, collocati in una situazione sociale spesso disagiata, della periferia di Parigi, di quelle banlieue esplose negli scorsi anni e troppo spesso dimenticate. Sono persone che hanno liberamente scelto di recarsi in Siria e in Yemen per addestrarsi nella guerra civile siriana o in altri fronti di guerra, votandosi alla causa integralista. Tali personaggi, presenti anche in altri stati e definiti “foreign fighters”, rientrano nel paese di provenienza e, come accaduto a Parigi, agiscono in nome della Jihad. Il problema va quindi inquadrato in un contesto più ampio, che deve prendere in considerazione tutte le variabili in campo, senza riduzioni di senso, senza ridicolirazzazione o dichiarazioni superficiali ed emotive. Come espresso da più voci, l’attento a Charlie Hebdo segna uno scatto in avanti nel modus operandi del terrorismo sul territorio occidentale come ben sintetizza l’azione propriamente militare del commando che ha operato a Parigi. Si tratta di una strategia facilmente replicabile, ad alta possibilità d’imitazione, un vero e proprio atto di guerra, come sottolineato da più studiosi e osservatori. La matrice islamica è chiara e va trattata per tale, senza cadere in equivoci o nei soliti sterili dibattiti.


Charlie Hebdo è stato colpito per vendetta, con le modalità dell’esecuzione, con un atto simbolicamente forte. Il giornale, spesso sopra le righe, offensivo, violento nelle sue esternazioni, rappresenta la libertà di poter esprimere anche in questo modo un’idea, un messaggio, un pensiero. Questo va difeso senza esitazione, perché principio essenziale del nostro modo di vivere, intrinseco della nostra cultura. “Io Sono Charlie” è il grido che tutta la comunità internazionale sta tenendo alto, perché deve essere ribadito ciò che fonda i nostri principi, in risposta a coloro che questo grido vogliono soffocarlo con la violenza, con il fanatismo religioso criminale. Non va infine dimenticato che una larga parte dei paesi dell’Africa Settentrionale, animati da profondi cambiamenti negli ultimi anni, da profondi conflitti interni di tipo etnico, religioso, economico, sono organizzati o puntano ad organizzare i loro stati e le loro società in ragione di precetti religiosi, e in molti casi in modo radicale ed estremista come accade con il califfato di Siria e Iraq guidato da Al Baghdadi.



Nel vortice delle reazioni si stanno anche scomodando, spesso strumentalmente, le parole di Oriana Fallaci, premonitrice nel suo romanzo “Rabbia e Orgoglio” di un Occidente in decadenza piegato all’integralismo islamico. Molte espressioni utilizzate dalla scrittrice non sono lontane dalla realtà, ma fanno anche riflettere sulle nostre responsabilità e sulle nostre colpe. Una riflessione più complessa è stata quella del politologo e professore statunitense Samuel Huntington. Egli nel suo saggio del 1996 “Scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”immaginava le linee di rottura e di conflitto, nel mondo del dopo Guerra Fredda, lungo dinamiche di tipo culturale: “La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell'umanità e la fonte di conflitto principale saranno legata alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro”. Tra le cause più importanti d’instabilità riconosceva non a caso: immigrazione, religione, cultura e sviluppo demografico. Oggi queste parole suonano come rivelatrici e lasciano aperte una serie di riflessioni su cui governi, stati e organizzazioni internazionali dovrebbero ragionare per evitare che fatti come quello di Parigi diventino sempre più frequenti, sempre più fuori controllo e strutturali.

Fabrizio Ribelli, Maria Grazia Stella