Roma – Si aggrava la posizione di Shamshir Hussain, 34 anni, nato nel Regno Unito ma di origini pachistane, arrestato lo scorso 23 aprile dai carabinieri del Nucleo Informativo del Comando Provinciale di Roma per sostituzione di persona e utilizzo di un passaporto falso, nell’ambito dei controlli antiterrorismo mirati in particolare al monitoraggio di soggetti stranieri sospettati di condurre attività criminose, finalizzate al reale finanziamento di azioni terroristiche.

LA NOTIFICA - Al termine di un’attività di Cooperazione Internazionale di Polizia sul canale Interpol, i carabinieri lo hanno raggiunto nel carcere di Regina Coeli, dove è ancora detenuto, e gli hanno notificato un mandato di arresto emesso dall’Autorità Giudiziaria Britannica il 23 dicembre 2009 ed esteso a livello europeo dopo il suo rintraccio a Roma.

RICERCATO - Fino da quella data, il 34enne era ricercato nel Regno Unito, sotto falso nome, dovendo espiare la pena di 4 anni di reclusione poiché responsabile di “aggressione aggravata dall’utilizzo di un machete e lesioni personali gravi”, fatti avvenuti a Luton, ai danni di un connazionale.

L’ARRESTO - Hussain Shamshir era stato fermato il 23 aprile in auto insieme ad altri due immigrati pachistani, residenti in Olanda, e a un curdo, che dopo gli accertamenti sono stati rilasciati. Aveva un passaporto britannico falso intestato a un’altra persona e alcune migliaia di euro. Ad insospettire i militari dell’Arma sono stati proprio i soldi e i precedenti, oltre al documento falsificato, trovati in possesso del 34enne, il cui arresto è stato convalidato dal gip. L’uomo, un ex pugile e attualmente pizzaiolo nella periferia della capitale inglese, è in attesa del processo previsto nelle prossime settimane: in corso indagini per sapere i motivi della presenza del pachistano a Roma. Il sospetto è che il denaro potessero servire per finanziare attività eversive di individui già presenti nella Capitale.


LO SCIP E L’INTERPOL - Al giudice che gli contestava la somma di denaro, il pachistano ha riferito che dovevano servire per acquistare capi d’abbigliamento da portare ai parenti in Belgio, ma la sua versione non è stata ritenuta credibile. Nel corso degli accertamenti i carabinieri hanno contato sulla collaborazione dello Scip, il Servizio di cooperazione internazionale di polizia, e dell’Interpol. Nella scoperta che il suo passaporto era falso ha contribuito il controllo svolto dall’ambasciata britannica: non combaciavano le impronte digitali con l’intestatario del documento.